sabato 27 febbraio 2010

Come superare una crisi

Bruno è uno dei miei migliori amici, ed è un regista di teatro. Tempo fa si è trovato, durante la preparazione di uno spettacolo, in un momento di crisi. La riscrittura del testo era arrivata ad un punto morto, e le prove con gli attori non stavano funzionando bene. Bruno allora ha chiesto aiuto a Peter, il suo maestro. Peter non gli ha dato a soluzione del problema, ma un consiglio ancora più prezioso.

"Torna al punto di partenza", gli ha suggerito Peter. "Ripensa al momento in cui hai pensato di mettere in scena proprio questa rappresentazione. Pensa al motivo per cui l'hai scelta, a cosa ti ha ispirato. pensa al significato per la tua vita, e a quale messaggio pensavi di lanciare realizzandola". Bruno seguì il consiglio di Peter e grazie a questo trovò delle soluzioni brillanti, che garantirono il grande successo del suo spettacolo.

E' proprio questo il modo migliore per superare una crisi: tornare al punto di partenza. Quando ci impegniamo in un progetto, qualunque esso sia, siamo illuminati ed entusiasti. Dopo un po', però, subentra la stanchezza, il senso di abbandono, la perdite di senso di ciò che stiamo facendo. Questo momento si chiama crisi. Le scelte sembrano difficili, le idee poco chiare, gli sforzi inutili. E' in questo momento che dobbiamo tornare al punto di partenza, e chiederci cosa ci ha motivato nel momento in cui abbiamo fatto iniziare il tutto. E' proprio quello che ci farà trovare la soluzione.

Pensiamoci, tutte le volte che c'è una crisi in un progetto aziendale o personale, tutte le volte che viviamo seri problemi con l'azienda in cui lavoriamo o con il rapporto affettivo che stiamo vivendo. Tornare al punto di partenza ci chiarirà qual è la nostra visione e ci permetterà di capire qual è la scelta migliore.

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sabato 13 febbraio 2010

Cosa rende qualcuno "speciale"?

Qualche giorno fa ho partecipato alla festa della mia nipotina Letizia, che compiva otto anni. Erano naturalmente presenti le sue amichette, della stessa età, che con lei hanno mangiato la torta e scartato i regali. Quando Letizia ha proposto di andare a giocare in uno spazio più grande, tutte hanno seguito l'invito della festeggiata correndo e saltando dietro a lei.

Una sola bambina si è trattenuta vicino ai regali, scartati ed appoggiati a terra. Ad uno ad uno li ha presi, ordinati, inseriti nello zainetto di Letizia e messi al sicuro su una sedia, vicino ad una colonna. Poi anch'ella si è aggregata alle amiche.

Questa bambina ama far funzionare le cose. Ha percepito una potenziale situazione di perdita di valore ed è intervenuta, senza che nessuno glielo chiedesse, per assicurare un risultato positivo. Voleva che la festa di Letizia funzionasse.

Sto svolgendo un importante progetto di "self empowerment" per un'azienda, e nella scelta dei partecipanti abbiamo preferito non privilegiare la bravura nella prestazione. Quando i manager mi hanno chiesto quale criterio dovessero allora utilizzare per individuare le persone giuste, se non i risultati eccellenti, io ho risposto: "mandatemi persone che amano far funzionare le cose". Sono le persone che quando c'è un problema o una necessità non indicano chi la dovrebbe fare, al fanno e basta. Se un collega non sa fare qualcosa, non ha un'informazione o non è motivato, non dicono "compito del capo". Intervengono e lo aiutano. Sono coloro che puntano non solo al proprio risultato ma a quello degli altri. Agiscono sul processo, fanno in modo che non si inceppi e che possa svolgersi al meglio.

E tu? Sei uno di quelli che fronte a qualcosa che non va si giustificano dicendo che la responsabilità è di qualcun altro, o ti chiedi cosa puoi fare per far funzionare le cose? E' proprio questo che ti può rendere speciale.

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sabato 6 febbraio 2010

Hai il coraggio di essere te stesso?


Fai una rapida revisione della settimana appena passata. Quante sono le persone che ti hanno mentito, che non hanno mantenuto le promesse, che hanno distorto l'evidenza, che si sono lamentate di te con altri e di altri con te? Probabilmente molte. Purtroppo il mondo è pieno di comportamenti di questo genere. Di solito chi si comporta in questo modo lo fa perché si crede ( o tenta di essere) più "furbo" degli altri.

Probabilmente questi comportamenti distorti ti hanno fatto provare rabbia o sofferenza. Ebbene, devi sapere che le prime vittime di questi comportamenti sono proprio le persone che li mettono in atto. Non si rendono conto che il danno provocato agli altri corrisponde ad un danno provocato a se stessi. L'errore in cui di solito si cade è credere che il rapporto con se stessi sia separato da quello con gli altri. Ma non è così.

La misura con cui si entra in rapporto con gli altri determina il limite della misura con cui entriamo in rapporto con noi stessi, e viceversa. Se non vogliamo bene agli altri, non vogliamo bene a noi stessi. Facci caso: le persone molto severe con gli altri sono, prima di tutto, severe con se stesse. Entrare in contatto con noi stessi è vitale per la nostra salute fisica e psicologica. Ma ecco che se non sappiamo entrare in contatto con gli altri, questo ci risulterà impossibile.

Osserva chi pensa di essere furbo, chi trova scorciatoie, chi falsifica le carte nella relazione. Ti accorgerai che a poco a poco diventa artefatto, artificiale in tutto ciò che fa. Perfino il suo viso diventa una maschera.

Noi non vogliamo diventare così, vero? Ma come fare per evitare questo? Semplice: essere se stessi. Ma per essere se stessi ci vuole coraggio. Il coraggio di dire "ho sbagliato", il coraggio di ammettere un problema, il coraggio di dire le cose che si pensano, con grande rispetto dell'altro. Il coraggio di dire la verità ed essere franchi. Di non cercare scorciatoie.

Tutto questo ha un nome: autenticità. E il coraggio è necessario, per essere autentici.


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martedì 2 febbraio 2010

Il non fare è peggio di fallire


Prendo spunto da una frase di Max, piaciuta anche a Zewale e Wanda (leggete commenti a post precedente) per un piccolo racconto. Durante un corso di formazione avevo invitato in aula Guglielmo Roggiani, un allenatore di Basket. Durante il suo racconto Guglielmo, dopo aver elencato i suoi successi, aveva raccontato di una finale scudetto persa all'ultimo minuto. Naturalmente non era molto felice mentre descriveva questo sfortunato momento della sua carriera, sul quale a lungo aveva in seguito riflettuto.

Ad un certo punto si alza una mano dal pubblico ed una persona chiede: "ma non è meglio perdere prima, non è meglio uscire dal gioco quando è meno importante? Piuttosto di perdere una finale ed avere questo rimpianto, io preferirei non avere neanche l'opportunità di arrivarci, tanto il risultato è lo stesso ed il vantaggio è l'evitare una frustrazione".

Ci fu un attimo di silenzio. Poi cominciarono i bisbigli. La maggior parte delle persone presenti era d'accordo con lui. Ad un certo punto tutti guardarono l'allenatore per capire cosa ne pensasse. E Guglielmo rispose: "No, assolutamente no! Giocherei ancora cento volte quella finale! La possibilità di giocare una finale dà una soddisfazione enormemente più grande della delusione dell'averla persa!" E dicendo questo dal suo viso era sparito il velo di tristezza, e gli occhi avevano ricominciato a brillare.

Ricordiamocelo, quando evitiamo di giocare le nostre "finali" solo per la paura di perderle. Il non fare è peggio di fallire.

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